Alla base c’è la volontà di far viaggiare conoscenze e competenze piuttosto che i pazienti
VILNIUS – Il 9 marzo 2017 è una data che rimarrà certamente nella storia delle malattie rare in Europa. Vilnius, la bella capitale della Lituania, ha ospitato l’incontro che ha ufficialmente sancito la creazione delle 24 Reti Europee di Riferimento (European Reference Networks, ERNs), adempiendo a quanto a suo tempo definito dal parlamento europeo nella direttiva 2011/24/UE sul diritto all’assistenza transfrontaliera. La scelta dell’approccio generale, del numero delle reti da realizzare e dei requisiti dei Centri ha richiesto un certosino lavoro di valutazione e di negoziazione, ma questo primo risultato, pur lasciando aperta la porta a integrazioni e modifiche, sembra avere tutta la necessaria organicità.
E’ stato un percorso lungo, accidentato e difficile, iniziato oramai oltre dieci anni fa, quando i rappresentanti dei malati rari hanno iniziato ad ipotizzare, con i funzionari dell’Unione Europea e con gli altri portatori di interesse, la creazione di strutture sovranazionali che facendo leva sul progresso tecnologico e sulla crescente coesione e comunanza di intenti a livello europeo, consentissero di “far viaggiare le conoscenze e le competenze mediche piuttosto che i pazienti”, frase divenuta oramai rappresentativa dell’intero progetto delle ERN.
La giornata ha rappresentato certamente un momento più formale che sostanziale, ma come ha avuto modo di sottolineare il Ministro della Salute maltese Christopher Fearne (Malta è in questo semestre alla Presidenza della UE) “Entrando in questa sala si percepisce il senso della Storia nel suo realizzarsi”. La breve cerimonia di assegnazione dei riconoscimenti tenuta al termine della Conferenza ha visto i 24 coordinatori delle Reti sfilare uno per uno, ricevendo il documento ufficiale dalle mani del Commissario europeo per la salute e la politica dei consumatori, il lituano Vytenis Andriukaitis. Tra di essi gli italiani Marta Mosca (ERN-reCONNET, malattie del connettivo), Luca Sangiorgi (ERN-BOND, malattie rare dell’osso) e Maurizio Scarpa (InNerMeD, malattie metaboliche).
Applausi scroscianti sono arrivati da una sala crepitante di emozione, ricolma del meglio della conoscenza e della cooperazione europea nel campo delle malattie rare: centinaia di medici, ricercatori, rappresentanti delle istituzioni e delle associazioni dei pazienti, di funzionari della UE e in generale di tutti coloro che negli ultimi venti anni hanno contribuito a trasformare gli approssimativi anche quando volenterosi modelli di gestione delle malattie rare in una indubitabile e forse addirittura la migliore storia di successo dell’Unione, rendendo la vita di milioni di malati rari europei e delle loro famiglie una realtà pur sempre dura, ma più affrontabile e non più negletta.
Il motto che accompagna le ERN in ogni pubblicazione, stampata o digitale, è infatti “Share. Care, Cure”, che significa “Condividere, tutelare, curare”. La cura – quella definitiva – è un obiettivo che per molte patologie rare rimane un utopico lieto fine che non può mancare, nelle intenzioni se non in un realistico percorso scientifico, medico e sociale. Condivisione e tutela sono invece obiettivi realistici e che finalmente appaiono realmente alla portata.
Il decennale percorso che ha portato alla giornata di Vilnius ha dovuto certo affrontare numerose difficoltà, anche impreviste. L’idea delle Reti Europee di Riferimento è stata ed è tuttora tanto rivoluzionaria quanto innovativa; essa costringerà – speriamo – le amministrazioni sanitarie nazionali, la classe medica in generale e la società civili di tutta Europa ad affrontare acque nuove e mai sondate in precedenza. Le ERN hanno infatti l’ambizione di portare la cooperazione medico-scientifica (e sociale, mai dimenticarlo!) in quelli che gli inglesi chiamano “uncharted territory”, lo spazio sconosciuto, lo spazio che gli antichi cartografi sapevano solo accompagnare alla scritta “Hic sunt leones” le raffigurazioni, in veste di animali fantastici, dei propri dubbi e delle proprie incertezze.
Perché una cosa deve essere chiara: mentre l’obiettivo finale è evidente, l’idea delle ERN è di estrema innovatività e complessità, e raggiungere il primo richiede che le seconde si dimostrino strumenti al contempo potenti e flessibili. Ci vorrà del tempo perché esse prendano forma e diventino efficaci. Lo stesso Till Voigtlaender, delegato dell’Austria nel Comitato di gestione delle ERN e rappresentante del proprio paese anche nel Comitato degli Esperti in MR presso la Commissione Europea, attivo ed intelligente contributore nell’intero processo, ha detto durante il suo intervento che “gli obiettivi strategici delle ERN potrebbero essere raggiunti tra cinque anni”.
E’ una prospettiva realistica, se sarà possibile mantenere lo slancio e l’attuale livello di impegno a livello europeo e nazionale, nonostante gli spesso citati “venti contrari” provenienti da oltremanica, così come da altri Paesi – incluso il nostro – nei quali miopi iniziative isolazioniste cullano i timori del futuro oscurando agli occhi della pubblica opinione quanto c’è di buono e di giusto nella costruzione europea della cui nascita ricorrerà tra pochi giorni il sessantennale. Cinque anni possono sembrare un tempo molto lungo, specie per chi vive la sofferenza della malattia, ma sul piano socio-sanitario si tratta di una grande trasformazione, che richiede cambiamenti tecnici, organizzativi, normativi che non si possono ottenere con rapidità.
Un elemento di primaria importanza va però messo in evidenza: non siamo in montagna, dove il passo del gruppo deve essere adeguato a quello del più lento. Le reti sono state costituite su presupposti diversi, con diverso grado di successo e di integrazione. In questa prospettiva sarà giusto e normale che chi ha le energie, le idee e le capacità tecniche ed organizzative migliori vada avanti, tracciando un sentiero per quelli che verranno dopo e che potranno a loro volta seguirlo più facilmente, adattandolo dove necessario alle proprie peculiarità. In fondo non bisogna dimenticare che alle comuni caratteristiche di rarità, cronicità e gravità si oppongono specificità, esigenze e possibilità spesso distinte, se non a volte assolutamente distanti.
Ne segue che nell’evoluzione delle ERN non è proponibile un concetto di “taglia unica” né tanto meno una soluzione standardizzata, buona per tutte le stagioni. Le tutto sommato ampie direttive messe a punto a livello europeo lasciano infatti larghi margini di flessibilità nella realizzazione dei passi necessari, sia nei confronti delle singole Reti quanto negli approcci nazionali alla selezione e alla gestione dei Centri affiliati a ciascuna di esse. Ciò che deve rimanere centrale sono i concetti base come la circolazione delle conoscenze, la crescita delle competenze ed il coinvolgimento attivo delle organizzazioni dei pazienti.
Già da ora si possono individuare differenze significative nei modelli applicati dalle Reti o dai paesi membri, le cui amministrazioni sanitarie sono state chiamate – non dimentichiamolo – a sancire ufficialmente lo stato di adeguatezza e di appropriatezza dei Centri identificati rispetto ai requisiti stabiliti. A titolo di esempio, alla rigidità del governo spagnolo che ha deciso di avere uno e un solo Centro per ERN a livello nazionale, si contrappone la sovrabbondanza di Centri identificati del Ministero della salute italiano: quasi 190, che rappresentano circa il 20% del totale complessivo, poco superiore ai 900.
D’altra parte la normativa europea ha saggiamente previsto che il raggiungimento dei risultati previsti avvenga attraverso un processo iterativo nel quale le verifiche di efficacia e la rispondenza ai requisiti giocheranno un ruolo essenziale: centri che si dimostreranno inadeguati, non rispondenti ai requisiti o privi dei risultati attesi potranno perdere la propria posizione nella Rete, così come Centri che non sono riusciti ad entrare in questa prima tornata pur avendone i requisiti potranno essere integrati in momenti successivi, peraltro già previsti. Allo stesso modo non si chiude la porta alla realizzazione di nuove reti, nel caso in cui se ne riconoscesse l’esigenza.
Chiudendo per ora il discorso, che avrà certamente prosieguo ed approfondimento su queste pagine, è necessario comunque affrontare una domanda naturale quanto legittima: in che modo le ERN aiuteranno i pazienti? Gli indizi sono sparsi in quanto scritto sinora: la creazione di comunità medico-scientifiche sovranazionali – virtuali ma fortemente interconnesse – capaci di riunire sotto lo stesso tetto le migliori menti disponibili in Europa, supportate dai più moderni strumenti di telemedicina, analisi dei dati e collaborazione a distanza. Le Reti renderanno quindi meno necessari i “viaggi della speranza”, alla ricerca di diagnosi o nuovi trattamenti, facendo spostare invece dati e informazioni, adeguatamente gestiti dal punto di vista della sicurezza, della responsabilità legale e con il consenso informato del paziente.
Il risultato sarà il significativo aumento di qualità, accuratezza e velocità nella definizione di diagnosi, percorsi terapeutici e assistenziali, individuazione e condivisione di nuove scoperte e procedure innovative, in primis linee guida diagnostico-terapeutiche, che potranno determinare un grande miglioramento della qualità della vita dei malati rari e dei loro familiari.